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In USA scoperti superbatteri resistenti agli antibiotici

Venerdì 4 Aprile 2008

A 80 anni dalla scoperta della penicillina, dei ricercatori americani hanno portato a conclusione uno studio che ha confermato l’allarme secondo cui l’uso esagerato di antibiotici ha sviluppato super batteri resistenti ad essi.

superbatteri-antibiotici-usa-ciprofloxacina-church-harvard-medical-school In USA scoperti superbatteri resistenti agli antibiotici

Un team di studiosi americani ha individuato nel suolo di ben 11 località alcuni ceppi di batteri con una resistenza agli antibiotici 50 volte maggiore a quella di altri organismi patogeni e che proliferano cibandosi di essi.

George Church, genetista della Harvard Medical School di Boston, il cui studio sarà pubblicato su Science, afferma: «Molti Batteria isolati in terreni differenti non solo possono tollerare gli antibiotici ma possono in realtà nutrirsene utilizzandoli come la loro unica fonte di sostentamento».

Alla scoperta si è giunti studiando organismi presenti nel suolo in grado di rimuovere le tossine dalla cellulosa delle piante cibandosene. Gli studiosi hanno prelevato campioni da diversi luoghi, tra cui alcuni in un campo di grano concimato con feci di mucche trattate con antibiotici. Esposti agli antibiotici i microbi proliferavano.

I ricercatori hanno quindi esposto gli stessi microbi a 18 dei più comuni antibiotici, sia naturali che sintetici, dalla penicillina alla ciprofloxacina scoprendo che diverse classi di batteri potevano crescere e svilupparsi su quasi tutti i tipi di antibiotico.

di G.V.

Pubblicato in Biologia, Salute | Nessun Commento »

Come natura insegna: la madreperla ispira la creazione di materiali superresistenti

Domenica 24 Febbraio 2008

Le conchiglie, cimeli colorati e oggetti di improvvisate esplorazioni sulla spiaggia da parte dei bambini più avventurosi, non fanno solo bella mostra tra le più raffinate ed enormi raccolte di affezionati collezionisti ma si prestano anche ad altro.

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Ciò lo rivela un articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Science”, che riporta uno studio effettuato da ricercatori dell’Università di Harvard (USA) e di un Istituto di Zurigo.

Essi hanno ideato un modo di sintetizzare un materiale con la stessa struttura di quello che compone l’interno delle conchiglie. La madreperla, ossia il sottile strato che ricopre l’interno delle conchiglie, ha una struttura ibrida, in cui si fondono sia componenti organiche che minerali.
Gli scienziati hanno sostituto l’aragonite, composta da carbonato di calcio, con l’ossido di alluminio. Ciò gli ha consentito di ottenere un materiale dotato del doppio della resistenza.

L’applicazione di questa scoperta si potrebbe rivelare molto utile in campi quali l’ingegneria civile, aeronautica e così via.

Sempre sulla scia di prendere come spunto la natura, s’inserisce un nuovo cerotto sviluppato dai ricercatori dell’Ospedale di Boston (USA), imitando le capacità del geco di restare incollato alle pareti.
E ancora, un ricercatore dell’Università di Torino ha teorizzato, prendendo come ispirazione il geco e il ragno, la possibilità di realizzare una ‘tuta dell’uomo ragno’ in grado di far camminare sulle pareti. Sempre in America invece, due ricercatori dell’Università della California Riverside stanno lavorando a tessuti che contengono le due proteine che danno alla tela della vedova nera la caratteristica resistenza.

A detta degli esperti, ci sono ancora molte caratteristiche del mondo animale che devono essere studiate e che potrebbero rivelarsi molto utili per la creazione di materiali capaci di resistere alle diverse condizioni ambientali.

di G.V.

Pubblicato in Chimica, Tecnologia | Nessun Commento »

Ghiaccio o polvere sul pianeta rosso? Marte stupisce ancora

Mercoledì 2 Gennaio 2008

Come rivela la rivista “Science”, Marte è una fonte inesauribile di sorprese che non smettono mai di stupire. Recentemente si è scoperta la possibilità che vi sia un ghiacciaio attivo lontano dai poli del pianeta e che lo zolfo (non il carbonio) sia l’elemento che ha condotto al surriscaldamento del clima.

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Se ciò trovasse conferma si rivoluzionerebbero non solo le ipotesi circa l’evoluzione di Marte ma anche quelle circa il passato della Terra.
L’ESA (European Space Agency) ha identificato i tratti del ghiacciaio in una regione chiamata Deuteronilus Mensae, tramite una telecamera ad alta risoluzione posizionata all’esterno della navicella Mars Express.
Gli scienziati hanno ipotizzato che il materiale fosse acqua ghiacciata accumulata circa 10.000 anni proveniente da una fonte sotterranea.
Ulteriori depositi di ghiaccio sono stati individuati ai poli marziani, ma questi sono vecchi milioni di anni e hanno una ampiezza parecchio maggiore.
La notizia provoca sconcerto poiché si riteneva che qualsiasi fonte d’acqua raggiungesse la superficie del pianeta rosso evaporasse velocemente ed eventualmente fluttuasse nello spazio.
Ronald Greeley dell’Arizona State University di Tempe, geologo e membro del gruppo di ricerca, conferma che sinora tutte le caratteristiche fisiche dell’immagine corrispondono a quelle di un ghiacciaio.
Nel numero del 21 Dicembre di Science un team di scienziati della Harvard University e del Massachusetts Institute of Technology offrono delle possibili spiegazioni all’insolita assenza di minerali a base di carbonio su Marte.
Un composto di biossido di carbonio nell’antica superficie marziana ha prodotto un effetto serra tale da consentire che acqua fluida scorresse sulla superficie. Il problema sta nel fatto che un tale processo avrebbe dovuto depositare sul suolo del pianeta minerali contenenti carbonio, cosa che non è stata riscontrata.
I ricercatori sono pervenuti pertanto ad un’altra spiegazione: grandi quantità di biossido di zolfo (SO2) nell’atmosfera, il risultato di una precedente attività vulcanica, hanno catturato calore a sufficienza da far scorrere acqua. Questa ipotesi spiegherebbe la grande presenza di solfati tra i minerali marziani.
Itay Halevy di Harvard spiega che rivelazioni di questo genere potrebbero lasciar intendere che “il biossido di zolfo ha avuto un ruolo ben più importante nella storia della Terra di quanto si è finora pensato”.
Il geologo Alfred McEwen dell’University of Arizona di Tucson, si esprime con cautela a riguardo poiché in passato simili configurazioni marziane si erano rivelate essere costituite da polvere indurita che assomiglia a ghiaccio nelle immagini orbitali.
da: sciencenow.sciencemag.org
Credit: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

di G.V.

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La pelle di persone adulte fornisce una riserva di stamimali ad personam

Sabato 29 Dicembre 2007

Lo staff guidato da George Daley della Harvard Medical School e Children Hospital di Boston ha portato avanti una ricerca, pubblicata sul giornale Nature, il cui esito ha consentito di riprogrammare cellule adulte di pelle umana per ottenere staminali.

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Esse a loro volta sono in grado di generare altre cellule, utilizzabili per crescere qualsiasi tipo di tessuto, permettendo così di curare su misura malattie quali infarto, Parkinson, diabete ecc.
Daley spiega : “Il nostro è il primo lavoro ad avere prodotto cellule staminali a partire da una biopsia di pelle di individui adulti sani che si sono offerti come volontari per l’esperimento”.
Il team di ricercatori è ancora alle prese con la ricerca per creare cellule staminali pluripotenti (iPS).
Questa ricerca cammina di pari passo con un altro esperimento condotto dal giapponese Shinya Yamanaka dell’Università di Kyoto e dall’americano James Thomson dell’Università del Wisconsin a Madison.
Essi hanno ottenuto staminali pluripotenti, in grado cioè di trasformarsi in tutte le cellule dell’organismo umano, a partire da fibroblasti della pelle.
Per i loro studi si sono avvalsi dei cosiddetti geni della staminalità, geni cioè che sono attivi soltanto nelle cellule staminali, mentre si spengono quando queste ultime cominciano a differenziarsi in cellule adulte.
S’intravede così la possibilità di farsi in futuro, con le cellule della propria pelle, una riserva di staminali da usare per terapie di riparazione di organi malati.
Il fatto di usare cellule della pelle riprogrammate permette non solo di usare come fonte il paziente stesso ma anche di eliminare ogni dilemma etico.

di G.V.

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Sogni: rielaborazioni degli eventi diurni, riflessioni e…colpi di genio!

Lunedì 17 Dicembre 2007

Gli ultimi studi sul tema dei sogni rivelano o meglio contribuiscono a confermare che
i sogni rafforzano il ricordo degli eventi avvenuti durante la giornata dando al cervello un’altra possibilità di distillare le informazioni.

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Robert Stickgold, neuroscienziato all’Harvard Medical School di Boston, afferma che “il sogno non si limita a rafforzare la memorizzazione, serve anche a ricavare significati”. In sogno si possono anche scoprire dei nessi passati che non vengono colti durante lo stato di veglia.
Sognare, quasi come una continua psicoterapia, consentirebbe al nostro cervello di maturare elaborando i significati delle esperienze diurne.
Dalla storia arrivano diversi esempi di come i sogni portino non solo consigli ma anche soluzioni e colpi di genio che lo stato di veglia manterrebbe celati. Celebri sono i casi di Paul McCartney che compose in sogno la musica di Yesterday e di Robert L. Stevenson che inventò lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde.
Altri ricercatori americani William Domhoff e Katrin Meyer-Gomes, aggiungono che nonostante le grandi diversità tra le culture, gli uomini sono protagonisti dei medesimi sogni, di solito connessi alle comuni fasi della vita.
E’ partendo da questo principio che si è riscontrato che le donne ambientano solitamente i loro sogni in degli spazi chiusi mentre gli uomini si cimentano “di notte” in delle avventure fantastiche e surreali.
Tra i sogni più ricorrenti ricordiamo quelli degli studenti che sognano di perdere il treno o un altro mezzo di trasporto per poi arrivare in ritardo all’appuntamento, oppure la continua fuga e la vana ricerca di vie d’uscita per cercare di seminare i propri inseguitori.

di G.V.

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Gli ingredienti delle sigarette non sono solo tabacco e nicotina

Venerdì 9 Novembre 2007

Smettere di fumare molte volte risulta un’impresa ardua e a tratti impossibile a causa della dipendenza che creano tabacco e nicotina. Ma si è proprio sicuri che una sigaretta sia costituita solo da questi ingredienti?

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In una recente ricerca la Harvard University di Boston ha analizzato ogni marca di sigarette (comprese quelle light) in vendita negli Stati Uniti e ha evidenziato un aumento dell’11% circa della nicotina rispetto al 1997.
Ma anche in Gran Bretagna si vigila sui fumatori e da uno studio pubblicato sulla rivista “Food and Chemical Toxicology” risulta che fumando una sigaretta non si aspira solo tabacco e nicotina, ma che additivi di ogni genere inseriti col fine di migliorare il gusto. La miscela che brucia a 850 gradi per ogni boccata riesce a contenere fino a 800 elementi diversi tra cui cacao, miele zucchero, citronella, caffé succo di frutta e oli vari.
Laddove i produttori asseriscono che questi aromi sono inseriti all’interno della sigaretta per rendere più gradevole il gusto, gli studiosi replicano che, più che addolcire la pillola, il fine ultimo è quello di attirare i giovani consumatori facilitandone la dipendenza.
In fin dei conti perché mai i produttori dovrebbero badare al palato del fumatore?!

di G.V.

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